Comunicazioni sottili con pietre, alberi e animali



Regno Unito, Inghilterra, Londra

Sei anni dopo...

"Amanda! Ma che cosa stai facendo!"

Sophie corre verso la figlia che proprio il giorno del suo sesto compleanno, si sta azzuffando con un bambino della sua cerchia di amicizie. La donna raggiunge immediatamente i due bambini riuscendo a staccarli l'uno dall'altra prima che il bisticcio degeneri. Quando la piccola festicciola termina, e tutti i bambini partecipanti hanno lasciato l'abitazione della famiglia di Amanda, è il padre Mitch che si avvicina alla figlia per chiederle migliori spiegazioni sull'accaduto.

"Ti va di spiegarci cos'è successo con quel bambino?"

Amanda abbassa la testa con uno sguardo che sta quasi lanciando saette incendiarie invisibili.

"Mi ha detto delle cose molto brutte. Non è la prima volta, e oggi era anche il mio compleanno!"

Protesta la bambina visibilmente risentita.

"Quali cose brutte ti ha detto?"

"Che i miei capelli non sono normali, e che secondo lui, avrei dovuto tagliarmeli tutti."

Mitch e Sophie si scambiano un'occhiata con cui sembrano voler celare il loro dispiacere, consapevoli che fin dalla sua nascita, Amanda si era immediatamente distinta per essere nata già con molti capelli per metà biondissimi e per metà neri corvini.

"Invece i tuoi capelli sono speciali, Amanda. Nessun bambino o bambina li ha come te."

Cerca di dirle il padre per farle cogliere l'aspetto positivo nell' avere dei capelli con due colori diversi per effetto naturale.

"Proprio perchè nessuno li ha come me, mi ha detto che non sono normali!"

"Domani stesso, andrò a parlare io con i genitori di Mark. Vedrai che poi..."

Interviene Sophie, ma Amanda interrompe la madre, ancora prima che la donna finisca la frase.

"Non mi importa più. E poi sono stati proprio i genitori di Mark a dire a lui quella cosa su di me."

Sophie rabbrividisce al pensiero che siano stati niente di meno che, degli adulti ad insegnare al loro bambino il non rispetto e la non accettazione della diversità degli altri bambini e, in generale delle altre persone, e si sa quanto poi gli insegnamenti degli adulti, vadano ad influenzare ogni bambino nella loro crescita e nei valori del rispetto del prossimo.

"Ma tesoro, forse hai capito male."

"No! Ho capito benissimo, e io quello lì, non lo voglio più vedere!"

Amanda va dritta nella sua cameretta andando a frugare in un cassetto per andare immediatamente a mettersi in testa un cappellino con cui coprire i capelli, come se l'evento di non essere stata accettata non solo da un bambino e suo coetaneo, ma soprattutto da un adulto, le avesse fatto iniziare a vedere il mondo ostile e irrispettoso. Né Amanda né i suoi genitori avrebbero potuto nemmeno immaginare però che, quel particolare accaduto, si era manifestato per delle motivazioni energetiche diverse da quelle apparenti e superficiali, motivazioni che Amanda avrebbe compreso solo da adulta. Per gran parte dell'infanzia però, la bambina avrebbe portato quasi sempre un cappellino in testa, in modo da nascondere il più possibile il colore duale dei suoi particolari e colorati capelli e, a nulla sarebbero serviti i tentativi dei genitori, di farla sentire accettata per quella che era, soprattutto da Sophie. Era stata infatti proprio Sophie, il primo femminile modello della vita di Amanda, a non aver accettato il colore duale dei capelli della figlia fin dal suo primo giorno di vita. Amanda però non può ancora comprendere che, una simile esperienza, aveva alla base una motivazione ben più profonda, e che come Anima, era stata proprio quella di Amanda ad aver scelto di incarnarsi in una famiglia con quel tipo di madre, per poter affrontare una non accettazione di un aspetto di se stessa che, però derivava da lei, e non dalla madre. Tuttavia Sophie era l'Anima giusta per rappresentare il più perfetto specchio di energia femminile non accogliente che, serviva ad Amanda per poter vedere meglio, quale parte di un suo femminile non aveva imparato ad amare. Anche questo però Amanda, l'avrebbe compreso solo da adulta.


Qualche mese dopo...

Mitch percorre il verdeggiante tratto di uno dei parchi di Londra in cui solitamente Amanda si reca subito dopo la scuola, per poter trascorrere un po' di tempo in compagnia di qualche amichetta, in attesa che, o la madre o il padre vadano a prenderla per fare ritorno a casa. Quel giorno però, Mitch trova la figlia seduta in un angolo isolato del parco in mezzo ad alcuni alberi e lontano dalle solite amichette, pur avendole viste non molto distanti dalla scuola insieme ai loro genitori già arrivati.

"Amanda. Sei qui? Come mai non sei con le tue amichette?"

Amanda resta di spalle al padre, senza scomporsi dallo stare seduta a gambe incrociate davanti ad alcune pietre che lei stessa ha disposto secondo un ordine di linea precisa sull'erba del parco..

"I giochi degli altri mi annoiano."

Mitch fa qualche passo più avanti scorgendo le pietre sull'erba.

"E questo gioco con quelle pietre ti piace di più? Che gioco è?"

"Papà, posso chiederti una cosa?"

Mitch si china accanto alla figlia che ha ignorato la domanda del padre.

"Certo. Poi però andiamo a casa."

"Tu...hai mai parlato con le pietre?"

La domanda di Amanda, lascia interdetto Mitch per qualche istante.

"Come dici? Parlare con le pietre? No, certo che no. Si parla con le persone, Amanda, non con gli oggetti."

Amanda si gira lentamente verso il padre, guardandolo come se fosse lui ora quello strano o "non normale".

"E perché allora io sento, come se mi stessero ascoltando e mi  stessero parlando?"

Mitch inizia a preoccuparsi nel sentire simili affermazioni dalla figlia.

"Piccola, perchè non mi spieghi che cos'è che esattamente senti?"

"Quando prendo in mano una pietra, sento che diventa calda, e la mia mano trema. Guarda, ti faccio vedere!"

Amanda prende una delle pietre stringendola nel palmo della mano, ma in quel momento non accade nulla, sotto lo sguardo deluso di Amanda.

"E' la verità papà, mi devi credere! E poi anche quel tronco di albero! Prima ho visto due occhi proprio sulla sua corteccia!"

Mitch prende la pietra dalla mano di Amanda e la lascia cadere sull'erba.

"Amanda, ora andiamo a casa. A volte la troppa fame fa vedere cose che non esistono."

"Non ho fame! Le pietre mi parlano, e in mezzo agli alberi ho visto anche degli occhi!"

Protesta la bambina, risentendosi nel realizzare di non venir creduta nemmeno dal padre. In quel momento una cornacchia vola verso l'albero davanti al quale si trova Amanda, andando ad appollaiarsi su un ramo più alto, fissando la bambina che immediatamente si accorge della presenza del volatile.

"Ehi ciao!"

Amanda saluta l'animale, ma Mitch prende la mano della figlia per farla alzare.

"Ora andiamo!"

Esclama Mitch, intenzionato a lasciare immediatamente quel parco, capendo che Amanda avrebbe iniziato sicuramente a mettersi a parlare anche con gli animali.

"Non voglio andare a casa! Voglio stare qui, fra gli alberi, le pietre e gli animali!"

"Ora facciamo come dico io, ed è meglio se non dici alla mamma quello che hai detto a me."

Le dice iniziando a trascinare via la figlia da quel luogo, senza mollarle mai la manina.

"Perchè no! Le mie pietre! Aspetta, devo prendere le mie amiche pietre!"

"Ora basta! Le pietre non sono tue amiche, nè amiche di nessuno! Se non la smetti, farai preoccupare la mamma che non ti farà più nemmeno entrare in un parco, se continui a dire queste cose."

"Ma che cosa c'è di male a parlare con le pietre, gli alberi, e gli animali!"

"Dovresti giocare con gli altri bambini e come tutti gli altri bambini."

"No! Perché bisogna fare sempre tutti quegli stessi giochi così noiosi! Io voglio fare quello che piace a me, non quello che fanno gli altri! Piace a loro, non a me! Voglio giocare con le pietre e abbracciare gli alberi! Prima ne ho accarezzato uno, e ho sentito che..."

"Basta Amanda! Basta! Non parlare più di queste cose, soprattutto davanti a tua madre. Ci siamo capiti? E questo cappellino, è tempo che tu ora lo tolga."

Con un rapido movimento, Mitch toglie bruscamente dalla testa di Amanda il cappellino, come se con quel gesto avesse voluto iniziare ad aiutare Amanda, a liberarsi dalla paura del giudizio della gente riguardo i suoi capelli, anche se per il momento l'uomo preferisce non affrontare il discorso sulle conversazioni con oggetti inanimati. Nei giorni seguenti, non essendo stata accettata nemmeno nella scelta del tipo dei giochi da fare, o nel suo modo di approcciarsi con il regno della natura, piante ed animali, Amanda inizia a prendere l'abitudine di infilare di nascosto nello zainetto di scuola, tutte le pietre possibili trovate durante la strada nell'andare a scuola. Dentro di lei però, la bambina comincia a sentirsi come se fosse un pesce fuori dall'acqua che non vede l'ora di tornare da scuola, solo per mettersi a parlare con le pietre e soprattutto con i volatili, proprio il genere di animale che da sempre aveva invece inquietato la madre. Possibile che, nonostante i rimproveri del padre, la piccola Amanda stesse riuscendo a parlare più liberamente e a confidarsi solo con il padre, e non con la madre? Nei mesi seguenti Amanda avrebbe continuato a giocare di nascosto con le sue pietre, a tal punto da iniziare a disegnare sopra di esse, perfino delle lettere o degli strani simboli senza nemmeno sapere che cosa volessero significare, ignara di essere guidata dalla sua Anima che, invece sapeva esattamente che cosa quei simboli volessero comunicare, o forse volerle ricordare. Questo perché i condizionamenti familiari e sociali assorbiti dalla bambina, stavano rischiando di ostruire il suo naturale canale comunicativo con quel tipo di regno invisibile, verso il quale Amanda era così tanto attratta. Come poteva fare per farsi accettare dai suoi amichetti, se nemmeno gli adulti sembravano riuscire a farlo? Come avrebbe potuto seguire e sviluppare i suoi naturali doni, se esternamente non solo non venivano visti come doni o importanti attitudini spirituali, ma che nemmeno venivano accettati come qualcosa di buono o di utile? Possibile che fosse così tanto strano o considerato "non normale", parlare con ciò che più l'emozionava? La piccola Amanda sapeva solo una cosa: che più cresceva, e più la sua attrazione per le pietre aumentava, ma soprattutto stava iniziando a vedere ostilmente, tutto quello che veniva definito: "normale". Possibile che il mondo in cui stava crescendo, non era adatto per quello che invece lei amava fare? Perché era finita in quel mondo? Cos'è che avrebbe potuto fare da grande, per restare fedele alle attitudini che amava, senza rischiare di essere giudicata non normale, e negativamente? Come avrebbe potuto sviluppare e dare valore ai suoi doni, o chi avrebbe potuto aiutarla a farlo, senza rischiare di essere giudicata come una bambina diversa da dover zittire o cambiare?

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